mercoledì 27 gennaio 2010

CONTRACCETTIVI: UN INGANO OCCHIO PER PRIVATIZZARE L’ABORTO

Il pericolo di privatizzazione assoluta dell’aborto piano piano sta prendendo posto nella nostra società.

Secondo alcuni scienziati, il termine contraccettivi significerebe quell'insieme di metodi e di comportamenti che consentono di godere appieno della propria vita sessuale, senza incorrere in gravidanze non desiderate.

Oggi un gioco di parole fa siche passiamo indifferente a un assassinio organisato accettato dalla società a causa dell’ingenio intelletuale e linguistico dell’uomo stesso, togliendo il senso stritto della parola e la sostituendo con espressioni velate. La parola Contraccettivi ne è il prototipo. Il valore non discutibile della vità rimane e rimarrà sempre un diritto.

La tecnica va sempre davanti e ci porta i suoi risultati al volte inquietanti al volte famosi. Hanno ancora scoprerto in questi ultimi momenti la cosiddetta “ pillola dei cinque giorni dopo” cioè il farmaco che ha efficacia per evitare la gravidanza fino a 120 ore doppo il rapporto a un momento potenzialemento fecondo. Questa nuova pillola , secondo le ricerce scientifiche, sembra contenere la molecola ulipristal acetato ( EllaOne, nome commerciale)

«L’azione del progesterone è fondamentale per lo sviluppo dell’embrione e in particolare prepara l’utero ad accoglierlo per l’annidamento» scrive Romano nell’ultima newsletter di “Scienza&Vita”. La nuova pillola «si lega ai recettori del progesterone e ne inibisce l’azione. Quindi impedisce, tra l’altro, l’annidamento dell’embrione svolgendo un’azione intercettiva-abortiva.

La privatizzazione del’aborto farebbe della nostra società forse un mondo degli inconsci se non sapiamo percepire subito il pericolo e dinunciarlo. Ma soprattuto la conscientizzazione farebbe molto bene.
Floribert Avonyima

martedì 19 gennaio 2010


HAITI: IL DRAMA DEL SISMA E IL GRIDO DI DESOLAZIONE.


La settimana scorsa un tsunami a colpito i nostri fratelli ad Haiti, un terremoto senza uguale, e un migliaia di vittimi hanno perso la vita, tanti sono rimasti feriti e migliaia di piccoli e adolescenti, vagano tra le macerie alla ricerca di un genitore che, purtroppo, spesso non trovano più. Affamati e spaventati, gli uomini senza tetto,cercano qualcuno che li possa aiutare.


Questo è il drama che ha colpito i nostri fratelli oggi come ieri gli abbrucezi ma questa volta è un sisma di magnitudo 7, che ha raso al suolo la maggior parte della capitale Port-au-Prince lo scorso 12 gennaio scorso. Secondo alcuni fonti locali, si parla di 100 a 200.000 morti. Continuando a scavare sotto le macceri novanta sono le persone estratte vive fin’ora.


La situazione è catastrofica» ha detto il presidnete Rene Peval, «sarebbe stato terribile per qualunque Paese, ma Haiti, che era già debole, ha ancora più bisogno di aiuto». Quello che serve ora è «coordinare gli aiuti internazionali», un compito che spetta «allo stato haitiano insieme all’Onu attraverso una struttura di coordinamento». Secondo il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, l’Ue deve prendere in considerazione l’eventualità di istituire una Forza rapida di intervento umanitario.

Floribert AVONYIMA

giovedì 14 gennaio 2010

LA CHIESA IN COLLABORAZIONE CON GLI TATI: MODELLO DI EVANGELIZZAZIONE

La chiesa con oggettivo evangelico, deve portare il lieto annuncio di perttuto nel mondo anche presso gli stati, segno della salvezza che giunga a tutte le categorie.

A cominciare dalla Santa Sede, per poter evangelizzare il mondo politico essa procede con i contratti di rapporto diplomatico, come un metodo adattativo che li permette di entrare nella cultura e nel modo di fare ed agire di uno per poi potere evangelizzarlo secondo il suo modo.
Se vogliamo fondare le nostre testimonianze su i dati concreti, partiamo dal pontificato di Giovanni Paolo Secondo nel 1978 ove il numero di Stati con cui la Santa Sede aveva pieni rapporti diplomatici ammontava a 84. Nel 2005 erano 174. Con Benedetto XVI sono diventati 178 e soprattuto in Africa, le rete delle nunziature sono state rafforzate. Questo dato è molto significativo.

Pertanto, adesso guarda alle chiese locale creare nuove metodi con cui raviccinare gli stati attraverso questa struttura della santa sede e dimonstrare cosi la comunione ecclesiale alfine di prevedere le crisi che possono scaturire nel corso dello svolgimento della missione ecclesiale. Questo è anche e soprattuto una evangelizzazione in profondità e senza confini, senza limite.
Comunque, la missione non facile ma occorre ribadire strategie e provare di fare qualche cosa, perchè il ruolo della chiesa è d’essere sempre il sale della terra e la luce del mondo, nonostante che essa non sia del mondo ma comunque vive in mezzo al mondo.
Floribert Avonyima

lunedì 11 gennaio 2010

MUSULMANI IN EUROPA: NUOVA OMBRA DEL XXI SIMO SECOLO

Oggi, la realità della presence di più in più crescente dei musulmani, crea un nuovo problema sociale di convinvenza e d’integrazione. L’impegno non è cosi simplice quando pensiamo ciblare la soluzione nel dialogo.
“I musulmani sono in Europa. Lo sono da secoli, o da immigrazioni più recenti, o da conversioni crescenti di autoctoni. Sono europei esattamente al pari dei cristiani o degli agnostici, con gli stessi diritti e doveri, le stesse libertà e le stesse restrizioni. Sono a casa loro. Occorre farsene una ragione una volta per tutte e sforzarsi di capire come riuscire a rafforzare il loro senso di appartenenza alla comune casa europea”. E’ la risposta di Nino Sergi, presidente di INTERSOS, al dibattito sviluppatosi nei giorni scorsi a partire dall’editoriale del prof. Giovanni Sartori sul Corriere del Sera. Nell’ampio documento “Musulmani in Europa. Così estranei da non potere essere europei?” E’ importante partire dai dati: oggi i musulmani in Italia circa un milione, l’1,7% della popolazione, in Europa circa 35 milioni, il 5%, mentre nel mondo sono oltre un miliardo e mezzo, quasi il 25%. Davanti a queste cifre è facile ricorrere a facili stereotipi che associano religione, clandestinità e terrorismo e che invocano la non integrabilità di questa tipologia di ‘diverso’. Tuttavia, queste posizioni non reggono ad una più attenta analisi e, soprattutto, risultano un po’ tardive rispetto all’ampio dibattito che si è sviluppato in vari paesi dell’Europa occidentale in questi ultimi decenni.
Affermare l’ identità europea è ciò che aiuta anche i musulmani ad avere il coraggio, di cominciare una riforma dell’Islam e bloccare il fanatismo e il fondamentalismo.
Ridurre l’Islam ad una religione teologicamente irrazionale e tendenzialmente fondamentalista, sarrebbe un’offesa alle centinaia di milioni di fedeli che vivono la propria fede con convinzione,
Se si vuole riuscire a convivere tra musulmani e non musulmani nell’Europa di domani, “come è indispensabile, a meno di tradire tutti i valori che rappresentano l’anima europea, occorre stabilire canali di ascolto e di dialogo, in un confronto franco e rigoroso ma da sviluppare con reciproci riconoscimento e attenzione e reciproca disponibilità all’ascolto e alla comprensione. Multiculturalismo e Islam: musulmani in Europa, no al ghetto, sì all’integrazione.
L’integrazione è oggi, la questione centrale e non più rinviabile, che deve essere affrontata a livello nazionale ma soprattutto a livello dei territori. Inoltre, “affrontare seriamente la questione migratoria e la presenza dell’Islam in europa è anche l’occasione per ripensare le nostre società sempre più complesse, plurali e globali, i principi e valori che ci possono unire e la loro traduzione quotidiana nelle scelte politiche e nella promozione della coesione sociale”.

Floribert Avonyima
LA NEGAZIONE DI DIO CONDUSCE ALLA SCONOSCENZA DELL'UOMO E DEL CREATO : DICE IL PAPA.

La problematica più spinosa della riconoscenza di Dio al di sopra ogni cosa e la sua consequenza visibile nell’amore e il rispetto dell’uomo, del creato e dell’ambiente, è una delle preocupazioni della Chiesa e della politica del nostro tempo.
Il Papa Benedetto XVI di sostenere nel suo discorso alle autorità diplomatiche: «La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione. Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio. Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen. Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in particolare, alcuni Stati insulari».
Vent’anni fa, quando caddeva il Muro di Berlino e quando crollavano i regimi materialisti ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente, non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria. La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana, ma devasta anche la creazione.
Con l’Enciclica Caritas in veritate il Papa Benedetto XVI ha invitato ad individuare le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura. Questa stessa mentalità minaccia anche il creato. La salvaguardia della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati.
Floribert Avonyima
L’IMMIGRATO UN FRATELLO: MONITO DEL PAPA A L’ANGELUS IN PIAZZA SAN PIETRO.

All’occasione della sollenità del “Battesimo del Signore”, il 10 ottobre 2010, il Papa alla piazza San Pietro davanti a una folla di più di tre mila persone, ha fustigiato l’attegiamento di violenza contro gli immigrati e cristiani e ha chiamato tutti a ripartire dal cuore di problema, per risolvere la tragedia dell’immigrazione.
Doppo la celebrazione Eucharistica e del sacramento del battesmo conferato ai quatordici giovanni nella capella Sixtina, il Papa a l’angelus a spiegato che la violenza e un sbaglio. La situazione degl’immigranti, per diversi motivi, subbiscono questo sorte. Essi sono anche essere humani come tutti a l’immagine di Dio, sono delle personne da rispettare e a capire che Dio lo ama come ama me,sottolinea il Papa. La violenza non è una scelta giusta per risolvere il problema. L’immigrato è una persona da rispettare nei tutti i sui diritti. Citando l’Enciclica “Caritas in Veritate”, è a traverso il dialogo che si può risolvere il problema. Nello stesso contesso, il Papa insieme alla situazione dei cristiani nel mondo e sopratutto in Gerusalemme e gli immigranti, chiede sollidarietà, l’amore e la pace. “Come cristiani - ha affermato Benedetto XVI - abbiamo in sorte il dono e l’impegno di vivere da figli di Dio e da fratelli, per essere come ‘lievito’ di un’umanità nuova, solidale e ricca di pace e di speranza”.
Facendo allusione alla tagedia della manifestazione della popolazine della città d’Orzano, il Papa nota che gli immigrati vanno sfrutatti e non son pagatti con premio degno, buttargli sulla strada consolida la situazione. Troviamo allora il modo di convivenza.

Floribert Avonyima

LA FAME NEL MONDO OGGI: UNA POLITICA E UNA PREOCCUPAZIONE PER TUTTI

Oggi sulla la terra, più meno un milliardo di affamati sfigurano l’imagine bello del creato voluto da Dio a causa di una cattiva gestione delle sue richesse.
Il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, nel suo intervento durante l’ultimo Sinodo per l’Africa, denuncia che un mondo con un milliardo di affamati non è consequenza di fenomeni ingovernabili, ma di mancanza di volontà politica, di scelte internazionali che hanno nella lotta alla miseria e al sottosviluppo la loro priorità assolutà. Cioè, una visione di un mondo libero della fame è possibile solo se esiste una volonta politica ai livelli più alti. Tale affermazione trova conferma nel Sofi 2009, il rapporto annuale sullo stato dell’alimentazione nel mondo, pubblicato dalla Fao e dal Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu, in concomintanza con la celebrazione della Giornata mondiale dell’alimentazione.
Nel 2009 per la prima volta il numero degli affamati ha superato il milliardo, con un aumento del 9 percento nell’ultimo anno. La quasi totalità degli affamati sono nei paesi in via di sviluppo: in Asia e nel Pacifico si stima che siano 642 milioni; nell’Africa subsahariana 265 milioni; in america Latina e Caraibi 53 milioni; nel Vicino Oriente e in nord Africa 42 milioni. Ma il numero degli affamati è aumentato anche nei paesi ricchi del nord del mondo , dove ha raggiunto i 15 milioni. L’analisi dei dati, monstra che i modelli di sviluppo finora perseguiti sono fallimentari.
Dunque, la governanza della sicurezza alimentare è parte di quella più generale della convivenza mondiale, di una globalizzazione che finora è stata affidata solo alla finanza e al poteremercantile. Da più parti, accanto a politiche di sostegno all’agricoltura, soprattutto nei paesi più poveri, si sollecita una revisione dei modelli di sviluppo e delle regole del comercio internazionale, nella dirzione di un’econokmia sociale compatibile con la tutela ambientale.




Floribert AVONYIMA